
La Commissione Europea sull’ambiente ha di recente contestato i fondi destinati agli allevamenti sulle aree montane. Queste risorse economiche sono destinate alle aree verdi, che lavorano secondo i principi che contrastano il riscaldamento globale. Ma ultimamente questo tipo di allevamento ha generato dei problemi, tanto da far dubitare gli esponenti del Parlamento sul continuare o meno a elargire fondi verdi europei agli agricoltori montani.
Come funziona un allevamento di montagna? Perché è pericoloso per l’ambiente?
A differenza del classico pascolo di montagna che si possa immaginare, nel corso degli ultimi cinquant’anni questi ambienti hanno subito una profonda trasformazione.
Molte sono state le variazioni nelle tecniche adottate e negli indirizzi produttivi, che spesso si sono allontanati dai sistemi più coerenti con i territori di montagna. Numerose aziende, con animali appartenenti a razze da latte particolarmente selezionate, hanno addirittura mostrato tendenze verso sistemi di allevamento intensivi.
Gli allevamenti innovati e potenziati, pur consentendo un aumento rilevante delle produzioni, hanno compromesso l’unicità e le prerogative qualitative del latte. Questo ha generato, nel tempo, problemi ambientali. Molte aree marginali sono state infatti abbandonate, poiché complesse da gestire con il pascolo naturale, comportando una globale perdita di biodiversità animale e vegetale. Ecco perché classificare queste aree tra i destinatari dei fondi verdi europei, potrebbe essere davvero dannoso.
Il dibattito in Parlamento Europeo
Il commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, si è esposto pubblicamente per far notare che nel conteggio dei fondi verdi non dovrebbero rientrare le risorse destinate ai contadini di montagna.
Secondo l’eurodeputato, si dovrebbero contare, tra i beneficiari dei fondi verdi, solo gli agricoltori che fanno qualcosa di concreto per l’ambiente.
Durante il dibattito, sono state citate diverse fonti. Dalle quali si evince che i pagamenti di questo tipo vengono assegnati agli agricoltori di montagna solo per garantire la sostenibilità economica della loro attività agricola; questo solo perché gli stabilimenti si trovano in aree svantaggiate.
I fondi ANCs (Areas of Natural Constraints scheme) non dovrebbero, quindi, essere assegnati agli allevamenti montani, poiché responsabili di aver addirittura provocato danni all’ambiente.
Questi fondi, inoltre, secondo la proposta di riforma, votata dal Parlamento Europeo qualche tempo fa, dovrebbero ammontare al 35% dell’intero bilancio della Pac (Politica Agricola Comune). Cosa che per il commissario europeo all’Agricoltura è del tutto inaccettabile.
Ma i Governi Nazionali non sono d’accordo. Da qui la decisione del Consiglio di respingere le richieste della Commissione e di aprire, inoltre, i negoziati interistituzionali per concordare il testo finale della riforma.
L’etichetta verde sui pagamenti ANCs rimarrà al suo posto. Francia e Spagna, in primis, hanno guidato il fronte a favore dello status quo. Non a caso, i due Paesi registrano tra i più alti budget per lo sviluppo rurale. Necessitano, quindi, di classificare come fondi verdi europei il più alto numero possibile di aiuti. Questo permetterà loro di raggiungere più facilmente l’obiettivo che l’Europa si è posta: destinare un terzo delle risorse stanziate a favore della lotta al cambiamento climatico.
La posizione degli ambientalisti
Marco Contiero, direttore della politica agricola di Greenpeace Ue, ha affermato:
“Contare l’agricoltura di montagna tra i destinatari dei fondi verdi europei è un esempio scolastico di greenwashing (ecologismo di facciata)”.
Secondo le associazioni a difesa dell’ecosistema, questo tipo di fondi non portano ad alcun miglioramento dell’attuale situazione ambientale. Anzi, alimentano l’impiego di misure comunque dannose per l’ambiente; poco importa se si trovino in aree montane.
Maria De Luca
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