La biodiversità alpina è in pericolo. E con questo significa che molte specie vegetali sono a rischio estinzione. Di chi è la colpa di tutto ciò? Come sempre dell’uomo. Che è responsabile dei cambiamenti climatici, che a loro volta determinano lo scioglimento dei ghiacciai.
Di questo tema si sono occupati gli studiosi della Stanford University. A quali conclusioni sono arrivati?
Procediamo con ordine.
Lo studio
Il team si è focalizzato sui ghiacciai delle Alpi. Ed in particolar modo su quelli della Vedretta d’Amola, il Trobio, il Rutor e la Vedretta di Cedec.
Gli studiosi hanno combinato i dati storici sul ritiro dei 4 ghiacciai con l’analisi delle condizioni ambientali locali e la distribuzione e le caratteristiche ecologiche di 117 specie di piante. Ed hanno elaborato dei modelli di distribuzione su un arco temporale di 5000 anni. E cioè il tempo medio di quello che definiscono “range di scomparsa di un ghiacciaio secondo uno scenario di stampo conservativo”.
Quante specie sono a rischio estinzione?
Il ritiro dei ghiacciai, secondo gli scienziati, influenzerebbe il 51% delle specie in esame.
Di queste il 29% trarrebbe giovamento dal fenomeno. Il 22%, invece, sarebbe destinato all’estinzione.
Perchè alcune specie vegetali sono a rischio?
Come spiegano i ricercatori:
“I nostri risultati dimostrano che la diversità delle piante inizialmente incrementa con il ritiro dei ghiacci, ma in un secondo momento, a seguito della totale scomparsa, la biodiversità decresce”.
Perchè accade ciò? Perchè alcune specie – denominate pioniere – sono le prime a colonizzare un terreno reso “libero” dallo scioglimento dei ghiacciai. Ma poi sono messe a rischio dall’arrivo di altre specie più aggressive.
In sostanza, specie adattate a crescere in condizioni estreme riuscirebbero senza troppi problemi ed in un intervallo di tempo non troppo lungo – parliamo di meno di un secolo – a colonizzare le aree libere (cioè, senza ghiaccio). Dopo 150 anni la competizione inizierebbe a diventare più intensa. Così le cosiddette specie generaliste – quelle, cioè, capaci di prosperare in un’ampia varietà di condizioni ambientali – finirebbero per prendere il sopravvento nell’area.
A quel punto potrebbero innescarsi dinamiche competitive tra le specie “vincitrici”, con conseguente ulteriore decremento della biodiversità.
Quali specie rischiano di più?
Le specie destinate a locale estinzione sono: Saxifraga bryoides, Artemisia genipi, Cardamine resedifolia, Leucanthemopsis alpina, Gnaphalium supinum, Sedum alpestre, Minuartia sedoides, Sempervivum arachnoideum, Hieracium staticifolium, Hieracium glanduliferum.
Esistono anche specie ubiquitarie che sembrano scarsamente influenzate dai cambiamenti ambientali. E cioè: Anthoxanthum alpinum, Gentiana kochiana, Gentiana punctata, Ligusticum mutellina, Pedicularis kerneri, Phyteuma hemisphaericum.
Ovviamente questo problema non riguarda solo le Alpi. Come ha spiegato al The Guardian Gianalberto Losapio, ricercatore della Stanford University:
“Penso che con una certa fiducia i nostri risultati possano essere estesi anche ad altre aree delle Alpi e altri ecosistemi montani, come l’Himalaya, il Karakorum o le Ande”.
Che poi aggiunge, a proposito delle specie alpine:
“Queste rappresentano i produttori primari. Non sono soltanto una fonte di cibo, ma anche di energia per tutto l’ecosistema, per i consumatori, i predatori, i parassiti, gli erbivori e gli impollinatori”.
Esiste un rimedio a tutto questo? Secondo i ricercatori basterebbe partire da piccoli – ma grandi – passi. Già solo educare gli escursionisti a restare sui sentieri ed evitare la costruzione di ulteriori impianti sciistici potrebbe essere una (prima) soluzione.
In ogni caso, ancora una volta l’uomo è responsabile del problema, ma è anche l’unico che potrebbero risolverlo. Ma la domanda che sorge spontanea a questo punto è una: quando inizierà a farlo davvero?